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Dvesa, la repulsione

Dvesa è l'antitesi dell'amore, è repulsione, antipatia, ripugnanza, paura

Dvesa, la repulsione
19 aprile 2009

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Glossario sanscrito

Stando a quanto riferiscono i testi canonici, al momento della morte del Buddha, mentre i monaci in lacrime gli si affannavano attorno per cogliere le Sue ultime parole e, chissà, forse una «formula magica», qualcosa di inedito e straordinario che li potesse innalzare, il Beato, steso su un fianco e reggendosi il capo con la mano destra, disse semplicemente: «Attenetevi alla Dottrina».

Solo questo, nemmeno una parola in più.

Ad affermare una volta per tutte, per sempre, che le quattro nobili Verità e l'Ottuplice Sentiero costituivano l'eredità lasciata al mondo intero oltre che a loro, i Suoi monaci, testimoni e seguaci.

Accanto a questa vivida e inestinguibile traccia è maturata nel tempo la cultura dello Yoga, l'elaborazione ancora più approfondita di Patañjali e le interpretazioni di molti che, nello slancio del cuore, hanno pensato di trasmettere la Verità, affinché l'ignoranza non distruggesse il valore della sofferenza e a tutti fosse data l'opportunità di aprire lo scrigno della conoscenza, l'elemento salvifico per eccellenza.

Fondamentale nella scuola di pensiero dello Yoga è la teoria dei klesha, i cinque elementi che disturbano l'evoluzione spirituale, qui brevemente riportati:

  • avidyâ - l'ignoranza
  • asmitâ - l'illusione
  • râga - l'amore con attaccamento
  • dvesa - il rifiuto con disgusto
  • abhinivesha - la paura della morte, l'attaccamento alla vita

Dvesa è l'antitesi dell'amore, è repulsione, antipatia, ripugnanza, paura.

Dvesa permea in profondità la mentalità corrente: ovunque, in qualunque momento, si sentono esclamazioni come: «Che schifo!», anche recitate da voci infantili che da poco hanno iniziato a esprimersi ma rapidamente si sono adattate agli usi della società attuale.

Putroppo questo atteggiamento diffuso si trasforma facilmente in tendenza e, come per tutte le tendenze che si espandono a macchia d'olio, viene erroneamente considerato segno di carattere e di capacità di giudizio, facendo sentire emarginato ed escluso chi in esso non si riconosce.

Dvesa dunque è una forma di repulsione dettata dalla paura del dolore, dell'esperienza sgradevole, magari solo immaginata ma irrimediabilmente bocciata; indica una fredda e rigida chiusura alle proposte della vita.

Che si tratti di un cibo, di un colore, di un ambiente scolastico o di un concerto, il «soggetto Dvesa» troverà modo di affossare sempre qualunque giudizio positivo e persino una cauta aspettativa che potrebbe preludere a un'apertura.

In realtà, chi è preda di Dvesa non vuole amare, teme l'amore come una condanna o una catena perché l'idea dell'Amore è troppo grande per entrare nel suo misero universo interiore.

Proprio il contrario dei mistici medievali che, con aspettative spirituali ben diverse, di fronte a sventure e sciagure di ogni genere, con il viso inondato di luce, declamavano: «Tale è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto!».

A questo proposito, emerge la necessità di fare chiarezza sull'urgenza di un progetto spirituale personale, di un decalogo che abbia quale meta l'illuminazione o liberazione.

Tutto questo è implicito nello «yoga degli otto punti», o ashtânga yoga, che definisce un percorso assolutamente lineare secondo i principi codificati da Patañjali.

Diamo per scontato che imboccare la strada più lineare è assolutamente auspicabile; il vantaggio sta nell'impossibilità di perdere l'orientamento e la fede evitando il rischio di smarrirsi in terreni sconosciuti e lontani.

Bhagavân Patañjali (il divino Patañjali), come veniva chiamato dai suoi contemporanei, ha avuto l'intuizione di mettere ordine nelle varie correnti di pensiero a additare la via per giungere rapidamente alla fine del viaggio.

Dvesa è figlia dell'ignoranza (avidyâ), dell'illusione (asmitâ), della passione (râga) e anche della paura della morte (abhinivesha).

Cito la definizione di Bhoja - autorevole commentatore degli Yogasûtra: «Dvesa è l'ira piena di deplorazione che si accompagna alla rievocazione del dolore in chi lo ha provocato e non desidera ciò che ne è strumento».

Oppure ciò che scrisse, a questo proposito, Vyasa (altro celeberrimo commentatore dei sûtra di Patañjali): Dvesa rappresenta «il sentimento di ostilità, collera, desiderio di distruzione o ira nei confronti della sofferenza (duhkha) in sé o dei mezzi che la provocano, avvertito da parte di chi abbia già sperimentato tale sofferenza e preceduto dal ricordo di essa».

di Lisetta Landoni

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